Professoressa Brandi, nel suo ruolo di Presidente di OFF, Osservatorio Fratture da Fragilità, ci aiuta a definire una frattura da fragilità?
La frattura da fragilità si verifica per un trauma che, in condizioni normali, non dovrebbe essere sufficiente a provocarla. Oppure quando, per un trauma importante come un incidente, si hanno fratture multiple mentre, in condizione normale, se ne dovrebbero avere molte di meno, magari una sola. Le fratture non sempre sono intercettate: per esempio riconosciamo solo il 20% di quelle vertebrali, che spesso il paziente scambia per artrosi. Il punto su cui insistiamo, anche come OFF, è che la diagnosi da frattura da fragilità sia fatta con più rapidità rispetto a oggi. È un argomento che abbiamo già presentato all’Istituto Superiore di Sanità, perché si costruiscano linee guida certe e univoche da seguire.
Fragilità e osteoporosi sono la stessa cosa?
L’osteoporosi è la quantizzazione della fragilità ossea. Osteoporosi non sempre è sinonimo di frattura certa: abbiamo pazienti osteoporotici che non si fratturano facilmente, mentre ne abbiamo di osteopenici che si fratturano, magari perché contemporaneamente presentano altri fattori di rischio, per cui dovremmo valutare, con le carte di rischio, il rischio globale di fragilità ossea. La nostra attenzione oggi va soprattutto alle donne dopo i 50 anni, quando la menopausa causa una rapida perdita degli estrogeni, mentre questi cambiamenti a livello metabolico nell’uomo sono più lenti. Ma la donna è da tenere d’occhio anche durante la gravidanza: in questo evento la donna perde osso, che in genere si recupera dopo parto e allattamento. Oggi però, con gravidanze che più tardive, le donne hanno meno possibilità di ricostituire l’osso perché il tempo della ricostituzione va a coincidere con la menopausa e ciò può acuire i problemi di osteoporosi. Anche il dolore osseo in menopausa e perimenopusa può essere un avvertimento precoce: l’aumento di riassorbimento osseo stimola la produzione di citochine locali che a loro volta sollecitano le fibre nervose di cui è ricchissimo l’osso, quindi non desta meraviglia che si avverta dolore, soprattutto a livello di vertebre lombari.
Quali altri esami esistono oltre la MOC?
La MOC ci permette di misurare la quantità di osso, ma non ci fornisce indicazioni sulla sua qualità. La TAC ad alta risoluzione (purtroppo ancora non così diffusa in Italia, visto che abbiamo, solo due macchinari nel nostro Paese) invece è in grado di dare informazioni sulla qualità dell’osso, sulla porosità dell’osso corticale, sullo spessore delle trabecole, sulla loro connessione, sugli gli spazi all’interno del midollo osseo. Questo è il futuro della valutazione qualitativa. Purtroppo, si tratta di strumenti molto costosi, non ancora entrati nella routine diagnostica.
Come si seguono i pazienti con ossa fragili al di là dell’episodio della frattura?
Occorre far capire che dalle fratture si esce. Dopo la soluzione chirurgica va affrontato il problema della fragilità dal punto di vista della terapia: il paziente fragile ne ha diritto. Quello che dobbiamo fare, prima di tutto, è far sì che sia seguita la prevenzione primaria: alimentazione corretta con giuste dosi di calcio, supplementi di vitamina D se necessario. Poi bisogna aiutare il paziente a far sì che cada di meno: ginnastica, esercizi per la per la postura, attività fisiche che aumentino l’equilibrio. Poi l’uso dei i farmaci, facendo capire che funzionano: il rischio di una seconda frattura più essere prevenuto dal 30 al 70%. Prendiamo il caso delle donne che si fratturano in gravidanza, si tratta di una complicanza rara, ma particolarmente grave, perché una frattura in gravidanza, parto o allattamento è particolarmente pesante per la donna. Ebbene, queste donne, se ben seguite, al secondo parto non si fratturano mai, perché i sistemi di prevenzione funzionano. Il meccanismo è lo stesso anche per le persone anziane.
Quando una MOC diagnostica un’osteopenia, cosa dobbiamo fare?
L’osteopenia di per sé non è grave, lo diventa se è accompagnata da altri fattori di rischio, che vanno valutati e quantificati con la carta di rischio. Poi si stabilisce cosa fare: attività fisica, aumentare introito di calcio, supplementazione di vitamina D o maggiore esposizione solare, farmaci. Oggi abbiamo a disposizione una varietà incredibile di farmaci: sia antiriassorbitivi, sia stimolatori della produzione ossea e, da maggio, finalmente ne avremo uno che assolve a entrambi le funzioni. Purtroppo, non è ancora passato dal SSN, ma per chi ha rischio imminente di frattura può essere una risorsa utile. Altrimenti si possono usare gli altri farmaci in sequenza terapeutica, una prassi che aiuta a ridurre anche gli effetti collaterali dei farmaci. Quello degli effetti collaterali è un problema di cui occorre parlare di più: il 4 maggio prossimo OFF organizza un evento a Roma proprio per discutere di questo argomento, di cui si è parlato un po’ a sproposito. Infatti, gli effetti collaterali dei farmaci antifratturativi sono ben noti, e i medici sono in grado di gestirli molto bene. Invece l’aderenza alle cure a volte è impedita proprio dal timore del paziente di possibili effetti collaterali. Inoltre, questi farmaci possono essere assunti per via sottocutanea o endovenosa, per ovviare a possibili effetti a livello gastrico: le soluzioni già esistenti sono tante.
Quali consigli pratici dare al paziente per evitare una seconda frattura?
Evitare traumi. Fare ginnastica: la posturale è straordinariamente interessante. Fare attività fisica: camminare va benissimo. Per chi vuole spingersi oltre, consigliamo il ballo: ha effetto sulla postura, stimola l’equilibrio e la socializzazione, quindi influisce sull’umore. Inoltre, per chi è in età più avanzata, assumere supplementazioni di vitamina D. Oltre ad introdurre con la dieta la quantità di calcio raccomandate.